F. Improta per “Da luoghi lontani” di G. Agnoloni, C. Cuppini, S. Salvato

Da luoghi lontani
Giovanni Agnoloni, Carlo Cuppini e Sandra Salvato
ArKadia edizioni

Ancora una volta la collana di narrativa, Senza rotta, curata da Marino Magliani, Luigi Preziosi e Paolo Ciampi, è riuscita a sorprenderci con questo libro di grande spessore e originalità, Da luoghi lontani (Arkadia, 15€), partorito dalla mente feconda di tre scrittori, Giovanni Agnoloni, Carlo Cuppini e Sandra Salvato, profondamente diversi gli uni dagli altri ma uniti e fortemente connessi in un progetto, o concept book, che ha come comune denominatore la lontananza, come, del resto, suggerisce lo stesso titolo. È una silloge di racconti divisa in tre sezioni tematiche (Memoria, Sogno e Spazi cosmici), che comprendono tre racconti ciascuna, quanti sono gli autori del libro, per un totale di nove racconti. Trattandosi di scrittori fiorentini per nascita o adozione, la scelta del numero tre e del suo più significativo composto nove (tre per tre) potrebbe non essere casuale ed avere valenze simboliche. Prima però di addentrarci nell’analisi del libro mi sembra doveroso rimarcare la scelta del racconto, un genere letterario fino ad ora trascurato o addirittura ignorato dall’editoria italiana, e questo va a merito non solo degli autori ma anche della casa editrice che aveva già pubblicato un’altra raccolta di racconti, Lo storiografo dei disguidi, di Paolo Codazzi e prima ancora, nella collana Xaimaca, Letti da un soldo, di Enrique Gonzáles Tuňón, restituendo al racconto la dignità che merita.

Al centro della raccolta c’è il tema del viaggio e non poteva essere diversamente, visti i presupposti e le indicazioni fin troppo esplicite del titolo che allude alla lontananza e, di conseguenza, alla mancanza o assenza nonché al desiderio insopprimibile, consapevole o meno, di colmare questo vuoto e questa distanza. Un viaggio nello spazio, nel tempo, nella memoria, alla ricerca di un altrove, nel desiderio di dare consistenza a un’identità sempre più labile ed evanescente. Le coordinate geografiche sono facilmente ravvisabili (Ubino, Firenze, Venezia, la Dalmazia, le enormi distese degli Stati uniti e dell’Australia o, all’opposto, un villaggio fantasma della Sardegna e infine gli spazi interstellari) ma alterate e deformate dalla nebbia dei ricordi, dalle incursioni in una dimensione onirica o dal ripiegamento su sé stessi in una lenta operazione di cabotaggio lungo i lidi rupestri dell’inconscio. Nel primo racconto della seconda sezione, Fichi Cani, di Sandra Salvato, si legge testualmente:

    La stessa strada a volte può essere un viaggio al di fuori delle solite rotte, portare verso cose, persone o a cose appartenute a persone. Le fotografie sono quel genere di oggetti, casseforti di memorie solo abbozzate. […] La nostra ricerca risponde a una precisa responsabilità: non lasciare niente d’intentato quando si tratta di salvare il passato dall’imbuto dei dimenticatoi.

Si rileva in questo brano, oltre alla curiosità spesso maniacale del giornalista, il tema di fondo della silloge, il viaggio lungo rotte inconsuete e misteriose ed infatti il protagonista del racconto per dare un nome a dei volti immortalati in una polverosa foto, in cui si è imbattuto per caso, intraprende una indagine scru­polosa e un viaggio in Sardegna alla ricerca di un luogo dal nome bizzarro, Fichi Cani. Qui incontra un uomo “piegato dall’età, curvo come un ago da pesca” con cui intavola un dialogo assurdo e incomprensibile perché il suo interlocutore parla solo in sardo prima di scomparire dietro un raggio accecante. Mi è venuto in mente leggendo questo racconto uno dei più bei romanzi della letteratura ispano-americana, Pedro Paramo di Juan Rulfo; anche qui una località fantasma e un personaggio spettrale, quasi un ectoplasma. Questa seconda sezione sembra fare da cerniera tra la prima sezione dove la memoria campeggia sovrana recuperando figure, momenti ed emozioni del passato e la terza in cui acquista sempre maggiore rilevanza l’artificio dello straniamento per cui i personaggi dei racconti sono scagliati in precipizi interiori prima di essere catapultati verso spazi metafisici.

   Estate. Le mattine e i pomeriggi infiniti, schiacciati nella pressa di un tempo circolare, appaiono immemori, soleggiati, tutti uguali. La sera invece è un tremolio di avvenimenti segreti, umbratili, liminali. Era sempre una sera tiepida e asciutta, collinare, pervasa dal respiro di creature sacre, metamorfiche, adagiate sulla linea ondulata del paesaggio, sottratte al rischio di essere nominate o pensate.

Così Carlo Cuppini ricorda le serate estive della sua infanzia: una girandola di sensazioni, di immagini e di emozioni. Il suo racconto recupera i momenti salienti dell’età infantile attraverso le attenzioni affettuose e rituali dei genitori (il padre gli taglia i capelli periodicamente e la madre ogni sera gli racconta delle storie per farlo addormentare), le prime amicizie alle classi elementari fino all’inizio della pubertà e dell’età adolescenziale, il tutto nell’atmosfera magica e incantata di Urbino con il suo palazzo rinascimentale, come recita il titolo del racconto.

Infine, Il sole residuo di Giovanni Agnoloni che apre la terza sezione tematica, Spazi Cosmici, eloquenti a tal proposito le parole che seguono:

       Come risalire la corrente del tempo. Come tornare bambini. Ritrovare cose perdute, recuperare sensazioni accantonate. Diventare una persona completamente diversa. Viaggiare verso quella che appare come una nuova dimensione. Un vortice atemporale, avvitato su sé stesso, proteso verso un luogo altro…

 Un racconto quest’ultimo inquietante, dai toni kafkiani a dispetto della scrittura lineare, chiara ed efficace che è una prerogativa di Agnoloni. Il protagonista Lukas, dopo aver ricevuto una e-mail e dopo una animata discussione con la sua donna si ritrova solo e spaurito con i suoi fantasmi, e i suoi sensi di colpa, con situazioni ed emozioni che lo riportano indietro nel passato a contatto con verità che aveva rimosso, o semplicemente nascosto a sé stesso. Splendida la chiusa che rimanda direttamente al titolo: “Aveva lo sguardo triste e sconfitto. Come quell’ultimo riflesso di sole che scompariva lentamente nell’oceano della memoria”.

Ho accennato a un racconto per ciascuna sezione e per ciascun autore, ma confesso che mi sono trovato in difficoltà nello scegliere i racconti essendo tutti meritevoli, belli e intriganti al tempo stesso, mi sembrava giusto, però, anticipare qualcosa di questa silloge che mi ha tenuto inchiodato sulla poltrona e mi ha profondamente turbato, ma mi ha gratificato anche per l’utilizzo di una scrittura, prevalentemente descrittiva, diversa per ragioni di stile e di sensibilità, ma sempre di alto profilo e di grande spessore. Una scrittura ora icastica, ora affilata e chirurgica ora lirica e poetica.  Per concludere un libro da non perdere assolutamente, capace oltretutto, in un’estate calda e afosa come la nostra, di farci provare dei brividi! 

Francesco Improta

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