Francesco Improta per “Lettere delle piante agli esseri umani” di Sanja Särman

Lettere delle piante agli esseri umani di Sanja Särman
Ortica edizioni

Mentre rovistavo, com’è mia abitudine, in libreria tra le ultime pubblicazioni, lo sguardo è stato calamitato da un libretto singolare, diverso da tutti gli altri, oserei dire bizzarro, se questo aggettivo non avesse assunto nel nostro linguaggio un’accezione negativa, un libretto dal titolo tanto originale quanto accattivante: Lettere delle piante agli esseri umani di Sanja Särman (casa editrice Ortica, 10 €). Il libro è stato tradotto in maniera magistrale da Giovanni Agnoloni che ha assemblato lettere e racconti dell’autrice svedese scritti in inglese e in svedese e pubblicati per la prima volta in Italia. Si tratta, a mio avviso, di un libro classico e moderno al tempo stesso. Il genere al quale può essere ascritto, infatti, è il romanzo epistolare che è antichissimo, si pensi alle Heroides di P. Ovidio Nasone, a Le lettere di Abelardo ed Eloisa, a Le Ultime lettere di Jacopo Ortis del Foscolo e alle Lettere di una novizia di Guido Piovene, l’argomento trattato, invece, lo colloca nell’ambito della letteratura green o ambientale, nata negli Usa agli inizi degli anni Novanta con William Rueckert e Joseph Meeker, pionieri di quella letteratura che mira a valorizzare e a consolidare la connessione sempre più precaria tra l’uomo e la natura.

Sono in tutto 19 lettere di differenti dimensioni, di cui 16 sono scritte da piante, le più disparate, alcune delle quali, non essendo io un addetto ai lavori né tantomeno un botanico, non avevo mai sentito nominare e tre da essere umani: una filosofa che scrive a un pioppeto, una Mukbang streamer (una donna che trasmette video in rete mentre mangia) al crisantemo e infine una ragazza all’olmaria.

Le piante rivendicano senza enfasi ma in maniera ferma e inconfutabile di essere loro a reggere la biosfera e denunciano la scarsa sensibilità degli esseri umani sempre pronti per cupidigia o comodità a calpestare prati, a recidere fiori, a tagliare alberi o intere zone boschive. Non minacciano vendette o ritorsioni perché come si legge nella prima lettera, che fa da introduzione a tutte le altre, le piante non conoscono sentimenti umani come la rabbia o la pietà, ma solo l’eleganza e la bellezza, non tirannia o uguaglianza ma solo armonia, un’armonia differente da quella concepita da esseri umani.

 Essere albero – si legge a pagina 9 – ossia una spina dorsale pulsante di linfa, con anelli concentrici che segnano il passaggio delle stagioni; essere un fallo virtuoso, una colonna sul cui frammentato capitello posa il cielo; compattare la terra in terreno con radici che si avventurano ciecamente nel buio.

E qualche riga più sotto:

 Dai più intimi recessi della terra agli estremi limiti dell’atmosfera, abbiamo creato questo sublime edificio di vita. Abbiamo sostenuto la biosfera abbastanza a lungo da permettervi di distruggerla. È davvero buffo essere espropriate di un’opera d’arte per cui generazioni di nostri artigiani hanno lavorato senza freno. Abbiamo assistito alla vostra ascesa, riso della vostra gloria, e così ben presto rideremo della vostra sventura.

Evidente l’intento di Sanja Särman di richiamare gli esseri umani a una presa di coscienza, a responsabilizzarsi rispetto a un problema quello eco-ambientale che ha assunto dimensioni sempre più preoccupanti e che in Svezia è particolarmente sentito. Non ci dimentichiamo che Greta Thunberg, La ragazza che sta cambiando il mondo, come viene definita da Viviana Mazza in un libro pubblicato da Mondadori l’anno scorso, è anch’ella svedese.

In Lettere delle piante agli esseri umani si rilevano molteplici riferimenti di varia natura a testimonianza della vasta cultura dell’autrice. Si allude alla famiglia dei Borgia, Papa Alessandro VI e i figli Lucrezia e Cesare, allorché si parla delle cleistogame e della correggiola in particolare in cui “lo stame e il pistillo crescono troppo ravvicinati per resistere alla tentazione”. La correggiola… si spinge al proprio interno per riprodursi, come la grande famiglia felice di un papa rinascimentale. Gli uomini, invece, si sono spinti troppo in fuori e ora tornano, dopo tante conquiste, reali o presunte, con un pugno di erbacce. La lettera in questione si conclude con un invito che suona come un monito: “Imitate la correggiola, umani, e siate le puttane di voi stessi”. Largo spazio hanno nel libro anche una fiaba popolare russa, Baba Yaga, la scienza e la teoria di Einstein e la filosofia che rimanda a Leibnitz e a Spinosa allorché si affronta il problema di Dio che non ha spazio in quanto è il luogo dello spazio, “il luogo in cui lo spazio si apre come un ventaglio”.

Si potrebbe scrivere a lungo di questo libro in quanto molteplici sono gli spunti di riflessione e le frequenti digressioni, mi limiterò, anche per non privare il lettore del piacere della scoperta, a ricordare che nell’ultima lettera, la diciannovesima, si pone a confronto l’arroganza di chi esercita il potere, imperatore o dittatore che sia, e l’umiltà della pianta (rosa canina, platano, edera) e l’ambiguo, contraddittorio rapporto che si stabilisce tra loro: Serse, re dei Persiani, imbattutosi di passaggio per la Lidia in un platano di eccezionale bellezza, lo ricoprì d’oro e lo trattò alla stregua di una divinità, mentre l’eccentrico Caligola, amava decorare con foglie d’edera i suoi calzari. Dopo altri e non meno significativi riferimenti storici e letterari alla Bibbia e ai poemi omerici, la lettera si conclude con l’affermazione della disarmante fragilità del Principe e l’insostenibile forza della pianta e in questo modo ricollegandosi all’inizio il libretto rivela la sua struttura circolare. Per concludere mi sembra doveroso rilevare la qualità della scrittura della Särman che utilizza diversi registri linguistici, da quello colloquiale a quello formale e settoriale, e la chiara e puntuale resa in italiano di Giovanni Agnoloni.

Buona lettura.

                                                                                      Francesco Improta

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