Francesco Improta per “Träbild -Sussurri da Gotland” di Christian Stannow

Träbild – Sussurri da Gotland di Christian Stannow
Lindau editore

Träbild di Christian Stannow, nella sontuosa traduzione di Giovanni Agnoloni, è arrivato in Italia grazie alla coraggiosa disponibilità della casa editrice Ortica che da sempre è aperta ad accogliere in catalogo storie originali e bizzarre di scrittori poco conosciuti ma di un certo spessore. Il libro in questione ha un sottotitolo decisamente evocativo e non meno eloquente, Sussurri da Gotland. La storia, infatti, si svolge a Gotland, una isola del mar Baltico, di cui si rievocano le mitiche origini, e dove il Maestro del cinema svedese, Ingmar Bergman ha vissuto gli ultimi anni della sua vita, decidendo infine di rimanerci per sempre, lì, infatti, è stato sepolto. Molto probabile che l’autore, essendo un regista oltre che uno scrittore, abbia voluto rendere omaggio a Bergman parafrasando il titolo di uno dei suoi film più belli, Sussurri e grida.

Nel primo capitolo, a volo d’uccello, l’autore ripercorre la storia di quest’isola dalla sua scoperta, opera di Tjälvar, personaggio della mitologia norrena, originario forse dello Jutland, alle migrazioni interne dovute a calamità naturali e alla scarsezza dei raccolti e alla fine accenna a Jon di Auster, discendente di Grip che non aveva seguito gli altri ma aveva preferito rimanere a Fårö, l’isoletta dove appunto riposano le spoglie di Ingmar Bergman. Jon sarà uno dei personaggi principali della storia che inizia nel capitolo successivo e si svolge nel quattordicesimo secolo, più precisamente alla vigilia della peste che sconvolse tutta l’Europa, di cui scrive Boccaccio nel Decamerone, per intenderci quella del 1348, un evento di tragica rilevanza che interessò tutta l’Europa. Jon viene descritto in questo modo:

     Il rozzo e robusto passeggero, che indossava pantaloni di pelle e un lungo maglione imbrattato di sego e catrame, continuava ad accarezzare il suo cavallo esausto per calmarlo. Nella debole luminescenza, i vapori che si levavano dall’animale lucido di sudore somigliavano a pallide fiammelle guizzanti.

Jon, fisicamente dotato e non privo di coraggio, è una vera forza della natura, il traghettatore, Stux, invece è gracile e timoroso, ma ha dalla sua la fede che illumina il suo cammino come gli ricorda lo stesso Jon dopo aver attraversato il mare in tempesta: “Varcherai lo stretto a remi, e per tutto il tempo avrai la tua luce. Io invece attraverserò l’Inferno, senza una lampada. Ascolta bene senza lampada e luce”. L’inferno a cui fa riferimento Jon è un bosco fitto e pauroso di chiara ascendenza dantesca e in quel bosco Jon verrà sfiorato da un fulmine proprio mentre è in procinto di raggiungere la sua meta; è la prima delle tante battaglie che Jon e gli altri personaggi del romanzo dovranno affrontare, per la sopravvivenza contro una natura ostile, inclemente e impietosa: tempeste spaventose, mare agitato, penuria di raccolti e infine l’epidemia di peste che mieterà molte vittime. A questo punto viene introdotta la figura di Padre Christen, un prete dalla condotta alquanto bizzarra che non disdegnava, come molti altri uomini di chiesa, i piaceri della carne e approfittava delle grazie della moglie del suo garzone, fin troppo compiacente. Alla lotta dell’uomo contro gli elementi della natura si aggiunge quella tra fede religiosa e superstizione, tra le divinità del pantheon norreno e quelle dell’universo cristiano. Alla fiction si alterna la storia e l’autore risale al tentativo di evangelizzare gli abitanti di quei luoghi da parte di Olaf, re di Norvegia, detto il Santo. In seguito a un naufragio approda sulla riva di quest’isola un intagliatore francese, il quale, dopo essere scampato alla ferina natura di Jon, che avrebbe voluto ucciderlo, grazie all’intervento di padre Christen e della figlia stessa di Jon, a dispetto di una serie di esperienze bizzarre da lui vissute decide di stabilirsi su quell’isola e…

Credo che non sia necessario procedere oltre nella narrazione dei fatti o delle dinamiche psicologiche e sentimentali, decisamente rudi e primitive,  e soffermarci sulla struttura ad incastro del romanzo, composto da tante storie, solo appa­rentemente scollegate, sui diversi piani narrativi (il romanzo, infatti, si muove tra presente e passato, tra fiction, Storia e cronaca)  e soprattutto sulla qualità della scrittura,  che ci costringe a tenere gli occhi incollati alla pagina in quanto, evitando fronzoli e svolazzi, riesce a materializzare personaggi, cose e situazioni nella loro icastica concretezza, nell’asprezza di sentimenti plasmati dalle difficoltà della vita. Per quanto possa risultare sgradevole ad animalisti o animi partico­larmente sensibili, ritengo che la pagina della mattanza delle foche, ultimo episodio di una caccia a quei tempi indispensabile per la sopravvivenza (nel medioevo in quelle zone la foca offriva cibo e protezione dal gelo), sia emblematica dello stile e del linguaggio utilizzati:

    Al segnale convenuto, uscirono tutti allo scoperto con i bastoni alzati e gli Käkkse (aste lunghe tre cubiti, dotate a un’estremità di un normale gancio da marinaio e all’altra di una lama autonoma di ferro, munite di dentellature oblique) sollevati, e cominciò una corsa selvaggia tra uomini e animali. Le foche si ammassarono tutte insieme, e colpivano con le zampe posteriori a tale velocità, specialmente nei primi rapidi balzi, che per gli uomini le cose cominciarono ad andare per le lunghe. Anche il terreno scivoloso e bagnato rendeva loro difficile far presa con i piedi, e sembrava proprio che dovessero rinunciare del tutto alle loro prede, quando Mickel lanciò il suo piccolo arpione. La foca ferita si voltò bruscamente. Mickel, che nel muoversi, era scivolato, sgusciò in avanti sul ghiaccio verso l’animale inferocito, che gli addentò un braccio…”.

Un’ultima curiosità: Träbild. Sussurri da Gotland di Christian Stannow è il secondo libro che Giovanni Agnoloni traduce dallo svedese dopo Lettere delle piante agli umani di Sanja Särman, a conferma delle sue notevoli qualità di traduttore, oltre che di scrittore, frutto di talento naturale, di studio e di applicazione, costante e altamente professionale. Con questa credo che siano otto le lingue che parla correntemente e da cui traduce abitualmente con esiti lusinghieri.

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