Domenico Pisana per “DADAADALDA” di Sergio Carlacchiani

Carlacchiani poeta tra verità e dissidenza…

di Domenico Pisana
Sulla nuova raccolta del poeta marchigiano, “DADAADALDA”, ove riverbera il circuito d’amicizia con la grande Alda Merini
Marzo 16, 2024
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Una poesia vissuta dall’autore come parola necessaria, come testimonianza critica dell’esistenza, come l’esperienza matura dell’uomo, che passa, fiduciosa e riplasmata, nella metrica delle immagini e nell’armonia dei periodi. E’ questa l’impressione che suscita la nuova raccolta poetica di Sergio Carlacchiani, dal suggestivo titolo DADAADALDA, Edizioni RPlibri,2024, ove riverbera il circuito d’amicizia del poeta con la grande Alda Merini, cui è dedicata la silloge.
Il corpus poetico poggia su una dicotomia di momenti creativi di un periodo che va dal 2020 – inizio della pandemia – al 2023, e titolati: Nell’ombra muffa, Rituali di scommessa, Mai tanto esistito, Sparecchiando sogni ; momenti che poi convergono nell’unità di una poetica che si connota puntando sia su lemmi ricchi di forte intensità semantica: “ombra”, “muffa”, “rituale”, “scommessa” , “sogni”, sia sugli indugi del poeta su certa esegesi delle proprie commozioni, che approdano sulla pagina svuotate del soperchio o dell’enfasi, ma formano e sono il clima delle sue esaltazioni e del suo tormento, dei suoi smarrimenti e delle celeri pulsazioni del suo cuore.
E tutto questo trova espressione, in continuità con le precedenti raccolte, in una “poesia ininterrotta” che elimina la punteggiatura, dispone il costrutto poetico così come nasce, nella assoluta libertà, opponendosi pertanto alla sintassi tradizionale e alle regole della metrica. Certo è che tutta la versificazione di Carlacchiani si sviluppa come “coscienza poetica in libertà” che guarda criticamente ai dettagli della vita e che raccoglie il vento e la luce; e in ogni atmosfera il poeta conserva se stesso nel luogo dove corrono le veloci cure della propria intimità. Carlacchiani si apre al segno della parola e dice a se stesso e agli altri i propri stupori e i propri umori, le proprie perplessità e le proprie paure:

“sciami di presuntosi in solitudine confusa
al convegno implicato nell’inganno per
arrivare primi ad uccidere la poesia
figli perlopiù sono di questa epoca
tempi peggiori arriveranno con lasciti
esemplari irrimediabilmente indecorosi
sul palcoscenico sovrano dell’esistenza… p. 18;

“tutto quello che voglio ancora scrivere
è rappresentare l’uomo nudo com’è
bestialità stupida mista a possibilità
il denaro non può che corrompere
in modo drammatico il suo futuro…” p.27.

Il dialogo di Carlacchiani con Alda Merini trasuda nella libertà e nella fiamma del verso, riproducendo il tempo di una lunga conoscenza, il calore della vita, il taglio dell’intelligenza laboriosa, degli affetti appassionati che sembrano riverberare in molte poesie; ci piace porre lo sguardo sulla poesia Ricordo, ove il poeta afferma:

“…Di notte ti ho sognato avevi il coraggio
di sopravvivere questa mattina ti ritrovo
ancora in me non puoi essere solo sogno
ho il cuore ghiacciato di brina ti somiglia
avreste bisogno di alito dolce di madre
e lacrime amorose presto con te saranno
vicini al sole filtrante tra rami” p.25 .

Quel che piace, oggi, in Carlacchiani, è il tono della sua scrittura, che si anima di pulsioni che fanno entrare il lettore nelle ambiguità della vita; e la sua scelta di impronta dadaista lo aiuta a concentrare nel verso passioni, illusioni, allusioni e indiscrezioni e a rappresentare ciò che gli altri spesso giudicano strano e anormale. Egli rifugge dalla sintassi tradizionale per una ricerca di immediatezza e sincerità nell’espressione e per affermare il principio delle parole in libertà, ossia di una poesia non riconducibile a schematismi o formule letterarie, ma che risulti capace di far entrare il lettore nel caos, nel grottesco, nell’apoteosi dell’assurdo sospeso tra la visionarietà e le prestazioni della fantasia:

“…in un mondo di spettri spande
davanti al sogno persino paura
di perdersi in sospiroso fiato
ed ombre in dissolvimento…” p. 93;

“…mai è la stessa la solitudine
cambia continuamente bisogna
provarla come qualsiasi cibo per
riconoscerne le caratteristiche…” p.99;

“il mondo me lo hanno
chiuso a chiave nel buio
desertificato ma non mi
arrendo né voglio sfuggire
sarà da lottare e slanciarsi
avanti verso accanito perire
quel che di me al suo posto
è sarà sempre linea di terra
luce ineludibile profetica
germinazione d’eternità” p. 107.

Condivisibile è l’affermazione della prefatrice quando parla di “una scrittura eretica, un dire non allineato e sicuramente un porsi appartato, anche per scelta precisa dell’autore, rispetto al mondo letterario contemporaneo”; come pure condivisibile risulta la lettura che fa il poeta romano Maurizio Soldini quando parla di “apparentamento con la poesia di Dino Campana”. Certo è che nella poesia di Carlacchiani c’è il binomio arte e follia, o meglio, poesia è follia, già incarnato in alcune figure ‘di frontiera’, sicuramente inafferrabili come Alda Merini, Dino Campana, ma pure Nietzsche e Van Gogh; “la più grande entusiasmante follia del mondo / viaggia dentro il nostro corpo come linfa”, afferma Carlacchiani.
Piace della raccolta DADAADALDA anche l’intreccio di vita e mistero e di apertura al sacro, di proiezioni eucologiche e di sguardi allusivi di slancio religioso, con i quali il poeta dimostra di non volere abdicare a quel ruolo quasi di poeta-profeta; e così i suoi versi si fanno sublimazione del silenzio e silenzio di riflessione dove diventa evidente che egli ha elevato il suo sguardo, al di sopra delle miserie e delle fatue beghe della quotidianità, per fissarsi in qualcosa che investe l’uomo nella sua essenza e che riguarda il suo stesso esistere:

– “vizi / ridotti a misteri capitali pensieri paure / al centro minuziosamente di Dio amore, p.20;
– “annegata ormai nel / pianto e nell’oblio / breve chiede a Dio / pausa al suo dolore / una coccola di mare / un fiore battiti d’ali / che nodi sfoglino e / cupidigia imbecillità”, p. 34;
– “l’angelo / di Dio sorprende dipinge crea poesia / di luminose parole un regno d’amore / che congloba insieme umana presenza / si attende da Dio sacra celeste epigrafe”, p. 38;
– “mi sento così morto non / sopporto che il diavolo si diverta / così impunemente con noi tutti / basta o Dio interviene o lo faccio io! p.69.

Sergio Carlacchiani cerca la Verità nell’anima, la Verità che è la radice essenziale dell’umanesimo aperto alla Trascendenza e ad un Altrove che – come scrive la prefatrice Gabriela Fantato – “parte dalla vita concreta e materiale, parte dal dolore e dalla solitudine del nostro esistere”.
In questa raccolta, l’autore si interroga sul suo essere poeta facendo propria la lezione di Giorgio Caproni quando diceva che la poesia è un inabissamento nella umanità e identità di se stessi, un guardarsi dentro per capire se stessi e capire chi sono gli altri. Carlacchiani è – direbbe sempre Caproni – quel minatore che dalla superfice, dalla sua autobiografia scava, scava, scava finché non trova un fondo nel proprio io che accomuna tutti gli uomini, scoprendo così gli altri e se stesso.
Tutte le 147 poesie della silloge DADAADALDA interrogano la vita, provocano domande, seminano dubbi e inquietudini; entrano dentro le macerie interiori dell’esistenza ricostruendola e rianimandola; rompono con lo stile della tradizione, ma mettono al centro la vita del poeta nelle sue varie forme, anche le più misteriose e segrete; sono tutte poesie che si offrono non come un sepolcro imbiancato, un esercizio di fariseismo imbellettato di nuovi sperimentalismi e spettacolarizzazioni, ma come il dono di un “artista smodato”:

“l’artista smodato spazia oltre
il sacro della dissoluzione parla
soltanto al silenzio agli oggetti
inanimati oltremodo ingenuo
si ritiene poca cosa storto siede
sul trono della polvere sfarinata
mangia e beve in letto non suo
s’affloscia in un singulto di sonno
sconfinante in ritagli di giornale…” p. 126.

Carlacchiani è insomma un poeta che sta dentro il mondo, ove la poesia diventa uno “spazio di domanda”, spazio aperto dove il lettore, come in un’agorà, può entrare ed uscire, lasciarsi contaminare o rimanere indifferente. Egli stesso dice:

“voglio stare dentro al mondo
questo autorizza la poesia che
è in me ad uscire allo scoperto
tutto sembra vano tranne lei
come capriolo scostante salta
sopra fiume di ramaglie lascia
garbate impronte singhiozzanti
e volontà di sfuggire alla caccia…” p.56.

E’ dunque nel mondo che Sergio Carlacchiani si confronta come essere pensante e comunicante in una data terra e in un dato contesto sociale, e la sua parola è efficace non semplicemente perché suscita emozioni, ma perché si situa nel contesto in cui si esprime come “dabar”, parola ebraica che indica una “creazione”, un disegno che si deve realizzare, indica non una ripetizione, una “imitazione”, ma una “nuova esistenza”, una “nuova umanità”, tant’è che dice al suo lettore:

“a questo punto del libro avendo
già fatto tutto quello che potevo
fare caro lettore farò breve sosta
tu intanto fai per me ciò che puoi
scovami se vuoi quelle poche parole
che non sono riuscito a trovare ti lascio
se lo chiederai il mio indirizzo di posta”, p. 125.

E’ pertanto nelle pieghe di questo nostro tempo che la parola di Sergio Carlacchiani non rimane la distrazione di un momento né un tranquillante di rassegnazione, né una illusione intellettuale e sentimentale, ma diventa la “voce di un dissidente” della società contemporanea; la sua poesia è dissidente anche nelle scelte formali e potrà essere poco attraente rispetto a tanta produzione minimalista, ma è fuor di dubbio che recupera un rapporto tra poesia e filosofia, contiene “domande sull’esistenza”, stupefazione per ciò che esiste, muta, diviene, si trasforma, si abbellisce e si distrugge, riuscendo a trasfigurare la realtà e a “veritare nel mistero”, operando una sorta di “iniziazione” del lettore al mondo misterioso dell’esistenza:

“dobbiamo tornare alla posizione
meno adagiata di essere umani
la società tecnologica progredita
addormenta nega uccide la vita
siamo diventati automi schiavi
del nostro isolamento della paura
è giunto il momento di decidere
chi detiene il potere non potrà più
scegliere per noi ci ribelleremo!
Stanco di perdere troppo tempo
ad inseguire non so bene cosa
di bruciare sull’altare della vanità
presto l’animo insorgerà si armerà
di coscienza coraggio creatività
l’indifferenza travaglia l’umanità
troppo egoismo c’è nel suo cuore
il mio modo di agire potrà meglio
essere donato a chi crederà in me
nei valori che la mia desiderata arte
esprimerà opportunità di sentirsi veri
essendo davanti a sé stessi e al mondo”, p. 123.

Sergio Carlacchiani rimane un sognatore, un visionario che “incide e graffia”, disegnando le coordinate di una umanità incapace di comunicare, di esprimersi, di cantare, di cogliere la diversità; di una umanità che spesso vive in un appiattimento desolante e privo di novità. Dalla sua penna scaturiscono costruzioni di mondi che possono sembrare irrealizzabili , versi a doppio taglio, versi che credono nell’utopia non in contrapposizione al realismo; versi che aprono sempre la parola alla storia, alla società, all’uomo che vive la sua quotidianità esistenziale, dando al suo eloquio un tono di grande riflessione civile:

“sto arrivando alla fine di questo
libro di poesie per solo sentirmi
dire niente male da te musa sai
so di essere un vero poeta cane!
Mi regalerai e metterai un collare?
È andata male forse è meglio così
chissà ogni tanto la malinconia mi
avrebbe preso lo avrei riaperto
notando solo misere cadaveriche
spoglie di pindarico sogno nero…
Come vorrei che dal cielo plurime
piovessero poche sillabate parole
– l’orologio che segna la nostra
epoca sbagliata si fermerà la luce
del giorno cambierà diverrà astro
colmo d’energia la sacra regola di
cura e amore trasformerà in vitalità
la noia spalancherà le palpebre di chi
dorme farà dell’ombra un bel sorriso
il destino tornerà bambino giocondo
con rinnovata fede sanerà l’ingiustizia
cambierà la scellerata faccia del mondo – ”, p. 124.

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